La biodiversità del nostro pianeta è strettamente legata alle api e agli altri insetti impollinatori. Queste instancabili lavoratrici sono responsabili di circa il 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali esistenti, garantendo il 35% della produzione globale di cibo. Tuttavia, il 9,2% delle specie di api europee è attualmente minacciato di estinzione, con il 40% degli invertebrati impollinatori a rischio.
In questo articolo, esploreremo il ruolo vitale delle api e degli altri apoidei nella biodiversità e nell’impollinazione delle piante. Analizzeremo la struttura e il funzionamento di un alveare, l’importanza delle api selvatiche e la loro resilienza di fronte ai cambiamenti climatici. Inoltre, scopriremo le attività quotidiane di un apicoltore e l’impatto del loro lavoro sulla salvaguardia di questi preziosi insetti.
Le api e i loro ruoli nell’alveare
L’ape regina: ruolo e caratteristiche
L’ape regina costituisce il fulcro di tutto l’alveare. Senza un’ape regina, uno sciame non avrebbe modo di esistere. La regina è infatti l’unico individuo dell’alveare in grado di accoppiarsi e di riprodursi. Tutte le altre api presenti all’interno della famiglia non hanno un apparato riproduttore che permette loro di deporre uova feconde. Un’ape regina che si trova nel pieno delle sue forze, arriva a deporre fino a 2.000 uova al giorno!
Da queste uova nasceranno nuovi individui, tra cui anche una nuova regina. Quando la sovrana dell’alveare inizia a invecchiare, le altre api iniziano a costruire celle reali in cui risiederanno le larve destinate a diventare regine. Le larve che si trovano all’interno delle celle reali vengono nutrite in modo differente dalle altre con la pappa reale, che le farà sviluppare con dimensioni maggiori e con un apparato riproduttore in grado di deporre uova feconde.
Le api operaie si prendono sempre cura della loro ape regina, provvedendo a qualsiasi suo bisogno, mantenendola al caldo, nutrendola e accertandosi che sia in piena salute. Quando una regina non è più produttiva, deve lasciare l’alveare e una parte dello sciame va con lei, prendendosi cura di lei fino alla fine dei suoi giorni.
Tutti i fuchi si accoppiano con la regina durante il volo nuziale. In questa fase, la regina emette tantissimi feromoni che attirano l’attenzione di tutti i maschi, i quali si accoppiano con lei uno dopo l’altro. Dopo l’accoppiamento, i fuchi lasciano il loro organo riproduttivo all’interno della regina, causandone la morte. La regina accumula così abbastanza seme nelle sue spermateche da poter fecondare uova per il resto della sua vita.
L’ape regina è l’unica ape che utilizza il suo pungiglione, chiamato ovopositore, a scopo riproduttivo e non di difesa. Lo utilizza come strumento di attacco solo al momento della sua nascita quando deve contendersi il trono con la sua avversaria.
Le api operaie: funzioni e ciclo di vita
Le api operaie rappresentano la maggior parte della popolazione dell’alveare e svolgono tutti i lavori necessari per la sopravvivenza della colonia. Sono tutte api femmine, ma a differenza della regina non sono feconde.
Il ciclo di sviluppo dell’operaia ha una durata intermedia fra quello della regina e dei fuchi. Dura 21 giorni, di cui i primi 3 li trascorre sottoforma di uovo, per poi diventare larva al 4° giorno e al 9° pupa, la quale si sviluppa all’interno della cella opercolata.
L’ape operaia non nasce con un compito ben preciso da svolgere per tutta la sua esistenza. In base alla sua età e alle esigenze dell’alveare può ricoprire diversi incarichi:
- Pulitrice: appena nata si occupa per i primi 3 giorni di pulire i favi e l’alveare, preparando le celle per la nuova covata e rivestendole di propoli.
- Nutrice: cura la nutrizione delle larve, inizialmente con miele e polline, poi con pappa reale quando le ghiandole sono sviluppate.
- Ceraiola: produce la cera per la costruzione e riparazione dei favi.
- Ape becchina: elimina le api morte all’interno dell’alveare per mantenere l’igiene (dura circa 12,5 giorni).
- Immagazzinatrice: riceve e immagazzina il nettare e il polline raccolto dalle compagne.
- Guardiana: difende la famiglia dagli aggressori esterni e dalle api di altri alveari.
- Ventilatrice: mantiene stabile la temperatura nell’alveare e permette la deidratazione del nettare immagazzinato nei favi (svolge questo ruolo fino al 21° giorno di vita).
- Bottinatrice: dopo il 21° giorno di vita esce dall’alveare per raccogliere nettare, polline, propoli e acqua.
Le api operaie sono esemplari femmine, divenute sterili per via dei feromoni inibitori dell’ape regina dell’alveare di cui fanno parte. Caratterizzate da una corporatura non superiore ai 12-13 mm e da una “super vista” fondamentale per avvistare le zone ricche di fiori, le api operaie ricoprono durante la loro vita (variabile dai 40 giorni ai 5 mesi) una miriade di compiti.
I fuchi: il ruolo dei maschi nell’alveare
I fuchi svolgono all’interno della colonia un ruolo marginale. Raggiunta la fase adulta, i maschi d’ape si occupano di fecondare l’ape regina attraverso il volo di accoppiamento chiamato volo nuziale. Per il resto, hanno una funzione davvero limitata nel meccanismo di sopravvivenza dell’alveare.
I fuchi si sviluppano dalle uova non fecondate. Le api possono infatti scegliere in anticipo il sesso delle larve: da uova fecondate nascono solo api femmine (operaie o regine), mentre dalle uova non fecondate si sviluppano esclusivamente fuchi.
È possibile riconoscere i fuchi dalle api di sesso femminile in base a caratteristiche corporee evidenti. I maschi d’ape possiedono un corpo di dimensioni generalmente più grandi rispetto alle operaie e, soprattutto, non possiedono il pungiglione.
Dopo l’accoppiamento, i fuchi muoiono lasciando il loro organo riproduttore all’interno della regina, causandone la morte. I fuchi sono animali non indipendenti e hanno bisogno dell’aiuto delle femmine per nutrirsi, in quanto la loro anatomia non permette loro di risucchiare il nettare dei fiori.
Terminato il volo di accoppiamento, i fuchi che non sono riusciti ad accoppiarsi fanno rientro in alveare, ma le operaie si rifiutano di accoglierli e di fornire loro cibo, causandone la morte per fame.
La struttura dell’alveare
Le celle dell’alveare e la loro funzione
Nel caso dell’apicoltura, l’allevatore offre alle api una casa diversa: l’arnia. Che si tratti di alveari insediati in natura o di arnie, le api costruiscono continuamente tantissime celle a forma esagonale che svolgono varie funzioni, a partire dalla deposizione delle uova fino all’immagazzinamento di miele.
I favi servono alle api per crescere le larve dopo la deposizione delle uova, ma anche per conservare il miele come scorta di cibo per l’inverno. Essi devono essere capienti per risultare il più possibile ma poco ingombranti. All’interno degli alveari, le api costruiscono tantissime celle di forma esagonale come culla delle larve e magazzino per il miele.
Per costruire le celle, le api producono prima di tutto la cera, una sostanza generata attraverso alcune ghiandole che hanno sull’addome. L’esagono, così come la sfera, è la forma che riesce a riempire meglio una determinata area rispetto ad altre soluzioni quali il triangolo o il quadrato. Le api riusciranno quindi a immagazzinare la maggior quantità di miele o polline e a dare più spazio vitale alle larve in crescita, utilizzando la minor quantità di cera possibile. A livello meccanico, una struttura di questo tipo si presenta come una costruzione molto solida e si mantiene nel tempo senza collassare su sé stessa né rompersi.
Un alveare è la casa delle api ma anche un intricato sistema di alveoli, celle a forma esagonale costruite con cera d’api. All’interno di ogni alveare vive l’intera comunità di api e qui, lavorano incessantemente per produrre miele, nutrire larve, conservare polline e gestire tutte le attività per sopravvivere. La disposizione esagonale degli alveoli permette di ottimizzare lo spazio all’interno. La struttura con forma esagonale, inoltre, offre una maggiore resistenza e stabilità anche quando è piena di miele o polline. Inoltre, per essere costruita richiede una minore quantità di cera. Questa organizzazione geometrica è essenziale per l’efficienza dell’alveare: consente alle api non solo di conservare meglio le riserve alimentari ma anche di garantire uno spazio adatto allo sviluppo delle larve.
A seconda della funzione di ogni cella, le api le costruiscono in dimensioni differenti. Le più piccole sono destinate alle api operaie, mentre quelle un po’ più grandi sono destinate ai maschi d’ape e quindi ai fuchi. Per quanto riguarda invece la cella dell’ape regina, essa ha una forma completamente differente dalle altre in quanto è molto più capiente e si presenta come a cupolino allungato dall’aspetto paragonabile a quello di un ditale.
Lo sciamatura: il processo di creazione di nuovi alveari
La sciamatura è un fenomeno naturale; è l’atto riproduttivo dell’organismo alveare. L’alveare, sciamando, crea un altro individuo della medesima specie, ossia crea un “figlio”.
La vecchia regina abbandona l’alveare madre assieme a un notevole numero di api, che portano nel proprio corpo il quantitativo di miele necessario a sostenere il processo. La scorta di miele dello sciame fornisce l’energia iniziale per sviluppare un nuovo organismo e costruire velocemente i favi, dando la possibilità alla vecchia regina già feconda di deporre le uova il prima possibile. Dalle uova nasceranno nuove api operaie, ossia forza lavoro.
In questa fase delicata in cui lo sciame è molto potente e ha una velocità di costruzione elevata, vengono gettate le basi dello scheletro che sorreggerà il giovane organismo alveare. Nell’organismo alveare che ha ceduto la vecchia regina è presente una giovanissima regina vergine, che effettuerà il volo di accoppiamento, o volo nuziale, prima di iniziare a deporre le uova. In questo lasso di tempo, la covata fresca deposta dalla vecchia regina garantisce un ricambio di forza lavoro con la nascita di nuove api, evitando così ogni possibile scompenso.
Lo sciame che si è formato porta con sé un grande quantitativo di miele, ma in cambio lascia polline e covata. L’alveare madre può continuare il suo percorso e tecnicamente ringiovanisce, perché ora possiede una regina giovane. Grazie alla sciamatura avviene un rinnovo di api, favi e regine.
L’atto di sciamatura appena descritto corrisponde al normale comportamento riproduttivo delle api, ma esistono anche sciami secondari e terziari con la presenza di regine giovani. In condizioni naturali la sciamatura avviene ogni due o tre anni, mentre la regina completa il suo ciclo vitale nell’arco di quattro o cinque anni ed è al massimo della sua vitalità nel secondo e nel terzo. Con l’approccio in permapicoltura, che prevede l’utilizzo di arnie più grandi e una modalità di gestione completamente differente, il ciclo di sciamatura tende ad avvicinarsi moltissimo a quello naturale.
Se le api sciamano vuol dire che dal loro insediamento sono passati almeno due o tre anni in cui non hanno subito alcun tipo di intervento o trattamento. Permettendo la sciamatura si ha l’opportunità di raccogliere un nuovo sciame, ingrandire l’apiario e contribuire al processo di selezione naturale: le api sono riuscite a riprodursi arricchendo il loro patrimonio genetico.
Le api sciamano quando sono al massimo della salute e del vigore. Di solito lo sciame appena formato si raggruppa molto vicino all’alveare d’origine e può restare lì anche tre o quattro giorni, mentre le api esploratrici cercano nelle vicinanze cavità idonee alla nidificazione. Istintivamente lo sciame tende a sviluppare il nido – fenomeno da un confondere con la sciamatura – ad almeno 2-3 km dall’alveare madre, per diffondere la stirpe il più lontano possibile. Ciò rientra nella normale dinamica naturale ed è anche una misura igienica: il nuovo organismo alveare si lascia alle spalle la maggior parte dei parassiti dell’alveare madre, come la varroa, e risulta più resistente agli agenti patogeni.
L’impollinazione e l’importanza delle api
Il ruolo delle api nell’impollinazione dei fiori
Le api svolgono un ruolo cruciale nell’impollinazione delle piante, garantendo la riproduzione di numerose specie vegetali e la produzione di cibo. Più del 40% degli invertebrati, tra cui api e farfalle, sono responsabili dell’impollinazione, ma molte di queste specie rischiano l’estinzione. In particolare, il 9,2% delle api europee è attualmente minacciato. Senza gli insetti impollinatori, molte piante si estinguerebbero e i livelli di produttività potrebbero essere mantenuti solo attraverso costose tecniche di impollinazione artificiale.
Le api domestiche e selvatiche sono responsabili di circa il 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali viventi sul pianeta, garantendo circa il 35% della produzione globale di cibo. Negli ultimi 50 anni, la produzione agricola ha avuto un incremento di circa il 30% grazie al contributo diretto degli insetti impollinatori. A scala globale, oltre il 90% delle principali colture è visitato dagli Apoidei, mentre circa il 30% è visitato dai ditteri, come le mosche.
Le api mellifere europee e africane sono responsabili di circa il 75% dell’impollinazione sulle colture, mentre il restante 25% è opera di altre specie di api. Tuttavia, le api mellifere affrontano numerose sfide, come l’acaro Varroa, malattie, scarsa alimentazione, fitofarmaci e condizioni meteorologiche avverse. Per questo motivo, è importante proteggere anche le api autoctone, fornendo loro siti di nidificazione protetti, accessibilità a fonti di cibo e proteggendole dall’esposizione ai fitofarmaci.
L’impatto delle api sulla biodiversità
Gli impollinatori, come le api, svolgono un ruolo vitale come servizio di regolazione dell’ecosistema. Si stima che l’87,5% (circa 308.000 specie) delle piante selvatiche in fiore del mondo dipenda, almeno in parte, dall’impollinazione animale per la riproduzione sessuale. Questa percentuale varia dal 94% nelle comunità vegetali tropicali al 78% in quelle delle zone temperate.
È stato dimostrato che il 70% delle 115 colture agrarie di rilevanza mondiale beneficia dell’impollinazione animale, con un incremento del valore monetario annuo mondiale delle produzioni agricole di circa 260 miliardi di euro. In Europa, la produzione di circa l’80% delle 264 specie coltivate dipende dall’attività degli insetti impollinatori.
La protezione degli insetti impollinatori, in particolare apoidei e farfalle, è quindi di fondamentale importanza, poiché essi svolgono un ruolo cruciale nell’impollinazione di una vasta gamma di colture e piante selvatiche. Le api forniscono inoltre preziosi prodotti dell’alveare, come miele, polline, pappa reale, cera, propoli e veleno, da sempre utilizzati e apprezzati dall’uomo.
Tuttavia, alcune scelte dell’agricoltura moderna, come la monocultura, l’eliminazione delle siepi e l’impiego dei fitofarmaci, nonché l’alterazione e la frammentazione delle aree naturali, hanno reso l’ambiente inospitale per la maggior parte degli insetti pronubi. Di conseguenza, l’importanza delle api mellifere è diventata fondamentale per alcune colture, a causa del declino della presenza dei pronubi selvatici.
La produzione del miele
Il processo di trasformazione del nettare in miele
Il nettare, una secrezione zuccherina prodotta da ghiandole specifiche dei fiori chiamate “nettàri”, è la materia prima principale per la produzione del miele. Questa sostanza dolciastra ha lo scopo di attirare gli impollinatori, come le api, che nel raccoglierla si fanno veicoli del polline e della fecondazione delle piante. Il nettare è composto principalmente da acqua e zuccheri in percentuale variabile, oltre a composti azotati, vitamine e sali minerali.
Un’altra importante fonte di materia prima per il miele è la melata, una sostanza zuccherina secreta da insetti parassiti delle piante ed elaborata a partire dalla linfa delle piante stesse. Ricca di zuccheri come saccarosio, glucosio e fruttosio, sali minerali ed enzimi, la melata viene raccolta dalle api direttamente dalle foglie e da altre parti di piante come abeti, larici, querce e tigli.
- Le api bottinatrici utilizzano la loro proboscide e i muscoli faringei per risucchiare letteralmente il nettare (o la melata) dai fiori. Questo viene raccolto nella borsa melaria e, una volta riempita con circa 40 mg di nettare, l’ape fa ritorno all’alveare. Si stima che per trasportare un solo litro di nettare, le api debbano compiere circa 25.000 viaggi!
- All’interno della borsa melaria, il nettare inizia la sua trasformazione in miele grazie all’aggiunta di enzimi come la diastasi, l’invertasi e il glucosio ossidasi, provenienti dall’apparato digerente dell’ape.
- Giunta all’alveare, la bottinatrice consegna il nettare raccolto ad altre api operaie, che procedono con la lavorazione aggiungendo altri enzimi e occupandosi dell’evaporazione dell’acqua in esso contenuta.
- Il futuro miele viene quindi deposto nelle apposite cellette, dove subisce un ulteriore processo di concentrazione. Le api, attraverso la ventilazione, fanno evaporare l’acqua contenuta fino a raggiungere un livello di umidità del 17-18% circa.
- Raggiunta questa soglia, le api opercolano le celle, rivestendole con uno strato di cera a protezione del miele contenuto. Questo processo è fondamentale per consentire una migliore conservazione del miele all’interno dell’alveare.
Questo complesso processo di trasformazione del nettare in miele dura circa 45 giorni e vede ogni ape svolgere una funzione specifica, garantendo così, grazie al lavoro di squadra, il corretto sviluppo del processo e la creazione di un miele di alta qualità.
Il ruolo dell’apicoltore nella raccolta del miele
Sebbene le api svolgano un ruolo cruciale nella produzione del miele, l’apicoltore è la figura centrale che garantisce la gestione dell’alveare e il controllo della salute delle api, permettendo così la produzione di miele di qualità e la sopravvivenza delle api stesse.
Per gestire correttamente l’alveare, l’apicoltore deve essere dotato di alcune attrezzature fondamentali, come la tuta da apicoltore, l’affumicatore e gli strumenti per l’ispezione dell’alveare. Le sue responsabilità includono il controllo della salute delle api, della produzione di miele e della regina.
Tuttavia, l’apicoltore non preleva direttamente le scorte di miele accumulate dalle api nel nido. Per ottenere il miele senza danneggiare le api, infatti, l’apicoltore aggiunge sopra alle arnie dei melari, debitamente separati dal nido tramite un escludi regina, che impedisce alla regina di salire a melario e deporre. In questo modo, nel melario le api potranno solo depositare il miele che non trova spazio nell’arnia e l’apicoltore potrà prenderlo senza troppi problemi.
Una volta raccolto, il miele viene lasciato decantare per alcuni giorni per eliminare eventuali residui di cera. Dopo un periodo di riposo, il prodotto viene filtrato e confezionato. Nel caso del miele grezzo, invece, dopo un breve riposo, il miele viene confezionato direttamente senza essere filtrato.
In Italia, ci sono circa 50.000 apicoltori, di cui circa la metà si dedica a questa attività a livello professionale, producendo miele e altri prodotti naturali come la propoli, gli integratori a base di pappa reale e la cera vergine d’api. Nonostante la forte richiesta sul mercato, la produzione di miele nel nostro Paese è fortemente influenzata dalle condizioni climatiche, dalla siccità e dai fenomeni naturali, spesso improvvisi e catastrofici, che stanno portando a una riduzione consistente del numero di api e sciami.
La gestione dell’alveare da parte dell’apicoltore
Allevamento e cura delle api regine
L’allevamento delle api regine rappresenta una fase estremamente delicata per il fondamentale ruolo svolto da esse, cioè quello di deporre le uova e garantire la proliferazione della specie. Già dalla nascita, la futura regina riceve attenzioni diverse e un’alimentazione ricca tramite la pappa reale. Il suo ruolo può essere definito ereditario poiché è figlia di un uovo fecondato direttamente in una cella reale costruita sul fondo dei favi. Il suo sviluppo necessita di un arco temporale lungo circa 16 giorni, durante i quali viene nutrita dalle api operaie.
Tra i metodi più semplici di allevamento delle api regine c’è quello che prevede l’orfanizzazione della colonia madre. Si comincia prelevando la regina insieme a un favo di covata (chiusa o ancora nascente), per poi collocarla in un’arnia provvisoria di polistirolo. Nel frattempo, la famiglia rimasta senza sovrana si adopererà per la costruzione di nuove celle reali. Si aspetterà poi una settimana per togliere i favi con le celle e distribuirli in altrettanti nuclei, utilizzando api, covata e miele provenienti da altri alveari. In presenza di più celle reali, generalmente se ne lascia soltanto una, magari quella che risulta meglio formata.
Dopo un paio di settimane, la presenza di covata fresca testimonierà la fecondazione delle nuove regine. A questo punto si aprono due strade: o rafforzare i nuclei di fecondazione con favi di covata oppure prelevare le regine e usarle per sostituire quelle vecchie. Contestualmente, il nucleo formato con la regina madre verrà rinforzato un po’ per volta e fortificato con favi di covata, con adeguate scorte per affrontare i periodi più freddi dell’anno senza problemi (per rinforzare il nucleo è consigliato spruzzare i favi di covata con acqua e zucchero per evitare che le api possano aggredire la regina).
Esistono anche altri metodi come il “kit Jenter”, il “metodo Miller” che prevede l’inserimento di un telaino con strisce di foglio cereo, e il “metodo del traslarvo” che utilizza cupolini di plastica o cera per alloggiare le larve raccolte da un favo di covata femminile. Quest’ultimo richiede attrezzature specifiche come il coglilarva e una nutrizione zuccherina per la colonia utilizzata.
Mantenimento dell’alveare e prevenzione delle malattie
La gestione dell’alveare richiede una solida conoscenza teorica della biologia e dei cicli vitali delle api, oltre alla pratica sul campo. Senza una comprensione approfondita, si rischia di eseguire solo rituali ciecamente, mettendo a repentaglio la salute delle api. Ad esempio, per trattare contro la varroa tramite l’asportazione di covata, è necessario conoscere il ciclo di sviluppo delle api e della regina per intervenire correttamente.
Inoltre, la conoscenza dell’apparato digerente delle api può essere utile per comprendere come alcuni ceppi siano in grado di filtrare le spore di peste americana, evitando di infettare le larve. Questa consapevolezza incoraggia la selezione di api resistenti piuttosto che la cura farmacologica.
Molte malattie batteriche, fungine o virali possono essere amplificate dallo stress gestionale, come dimostra il fatto che gli apicoltori “primitivi”, che praticano una gestione minima degli alveari, spesso hanno meno di queste malattie. È fondamentale conoscere le diverse evoluzioni, pericolosità e fattori favorenti delle malattie, alcune delle quali colpiscono la covata e altre le api adulte.
I manuali possono essere utili per familiarizzarsi con le malattie, ma è importante diagnosticarle molto prima che tutta una famiglia sia compromessa. Pertanto, la pratica, lo scambio di esperienze con altri apicoltori e l’osservazione di numerosi alveari sono essenziali.
Il rinnovo della cera è una buona misura profilattica, poiché sostituendo un telaino vecchio con un foglio cereo si azzera l’eventuale carica batterica contenuta nelle celle. Tuttavia, è possibile trovare malattie anche nella cera nuova, il che suggerisce che la malattia avesse raggiunto una massa critica e che una “forzatura” nel momento sbagliato abbia fatto comparire la malattia. Comunque sia, un rinnovo di almeno un terzo della cera ogni anno resta una buona pratica.
L’impatto dei cambiamenti climatici sulle api
Dopo i pesticidi, il clima che cambia rappresenta una delle maggiori minacce per la sopravvivenza delle api e degli altri impollinatori. Una delle principali evidenze degli effetti negativi dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale è la drammatica diminuzione delle popolazioni di api domestiche e selvatiche.
Analisi dell’impatto dei cambiamenti climatici sulle api
La relazione tra il cambiamento climatico e il rischio per api e impollinatori è stata analizzata in una “Ricerca su possibili influenze dei fenomeni climatici e ambientali quali fattori determinanti l’assottigliamento delle popolazioni apistiche mondiali”, condotta dal Centro Ricerche di Bioclimatologia dell’Università di Milano. Lo studio, basato sull’analisi delle osservazioni meteorologiche dal 1880 e delle osservazioni satellitari dal 1978, ha confermato l’impatto dei cambiamenti climatici sulle popolazioni di api domestiche e selvatiche.
Effetti dell’inverno più breve e caldo
La minore durata della stagione invernale, con temperature medie sempre più alte e con picchi decisamente anomali, ha innescato un probabile allungarsi della finestra di attività delle api, ipotizzabile in 20-30 giorni di lavoro in più all’anno. Secondo i ricercatori dell’Università di Milano, l’inverno più corto e più caldo determinerebbe uno stress aggiuntivo per le api, compromettendone la salute.
Impatto dei cambiamenti climatici sulla moria delle api
Il cambiamento climatico contribuisce in modo determinante al fenomeno della moria delle api, secondo solo agli effetti letali dei pesticidi, in particolare gli insetticidi neonicotinoidi condannati senza appello da una recente valutazione dell’EFSA, l’Agenzia Europea per la sicurezza alimentare.
Rischi legati ai climi più caldi
Espansione di predatori e patogeni
Il probabile instaurarsi di climi più caldi alle medie latitudini potrebbe comportare un’espansione non solo dell’Apis mellifera, ma anche di nuovi predatori (uccelli, aracnidi e altri insetti) e di patogeni. Questi ultimi, incontrando una popolazione immunologicamente vergine, potrebbero moltiplicarsi con una velocità e diffusione eclatante, causando danni economici ed ecologici rilevanti.
Diffusione di patogeni esotici
Inoltre, una diversa distribuzione delle zone climatiche porterebbe ad una diffusione ulteriore dei patogeni arrivati recentemente in Europa a causa delle movimentazioni di persone e materiali dai paesi d’origine (Aethina, Vespa velutina) o in seguito allo scambio di materiale genetico, come per Nosema apis e Nosema ceranae. Quest’ultimo patogeno, in particolare, rappresenta una prova tangibile del problema: è un microsporide parassita dell’Apis cerana, isolato in Europa nel 2006 e che, in caso di innalzamento delle temperature, potrebbe facilmente diffondersi a lunghe distanze. Tutti questi fattori andrebbero inevitabilmente a ripercuotersi sulla produttività dell’apiario, nonché sui costi di gestione delle aziende.
Impatto della siccità sulle api
La siccità, soprattutto quella estiva, è un problema particolarmente rilevante nelle zone meridionali d’Europa e si rende responsabile di estese morie di api. Senza fonti idriche, le api non riescono a termoregolare adeguatamente le larve e la covata. Se il fenomeno della siccità dovesse aggravarsi, potrebbe causare la perdita di diverse sottospecie di Apis mellifera, nonché di elementi vegetali, con un grave impatto sulla biodiversità.
Conseguenze delle ondate di gelo fuori periodo
Le ondate di gelo fuori stagione, come il freddo di Burian, hanno impatti significativi sulle api. Questi eventi danneggiano le prime fioriture, cruciali per l’alimentazione delle api, e possono avere conseguenze dirette sulle colonie, che rischiano di morire di fame se le riserve non sono sufficienti durante il gelo. L’intervento dell’apicoltore, con il monitoraggio e l’alimentazione supplementare, diventa fondamentale per sostenere le api allevate, anche se questo non sostituisce il valore nutrizionale del nettare e del polline naturale. Tuttavia, le api selvatiche rimangono vulnerabili, evidenziando che la sopravvivenza delle specie non dovrebbe dipendere esclusivamente dall’intervento umano.
Effetti dell’aumento della piovosità
Anche un’aumentata piovosità sembra creare problemi per le api, dal momento che alcuni studi dimostrano che l’acqua tende a diluire il nettare, rendendo così le piante meno attrattive per gli insetti impollinatori, con conseguente calo delle rese dell’apiario.
Impatto sui fiori e sulla produzione di nettare e polline
È ormai confermato anche l’effetto deleterio dei cambiamenti climatici sui fiori: numerose ricerche hanno evidenziato che non solo il tasso di umidità-siccità influenza la quantità di nettare e polline prodotta dalle piante, ma sarebbe in grado di influire negativamente anche sulla qualità degli stessi. Un aumento delle temperature, per esempio, indurrebbe alcune specie ad anticipare la fioritura con conseguente diminuzione del numero di fiori maturi.
Qualora il cambiamento climatico fosse troppo repentino rispetto alla velocità di adattamento delle specie, si potrebbe ipotizzare uno scenario in cui le stesse specie potrebbero produrre fiori sterili e quindi dovrebbero sopravvivere senza riprodursi sessualmente, affidando la perpetuazione della specie alla sola riproduzione agamica, ovvero alla creazione di cloni tutti uguali a se stessi e dunque poco adattabili ai cambiamenti.
Effetti dell’aumento di anidride carbonica sulle piante
Sembra inoltre che l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera abbia un effetto diretto sulla fisiologia della pianta: se da un lato è facile attendersi un aumento del tasso di fotosintesi e quindi di organicazione del carbonio, dall’altro può verificarsi una diminuzione della produzione di proteine per il polline. A prova di quanto detto, sono stati confrontati dei campioni di polline del 1852 con alcuni del 2004: in quest’ultimi è stato rilevato un calo del 30% delle proteine nonché un calo nella qualità delle stesse.
I cambiamenti climatici porterebbero dunque all’inevitabile perdita delle piante meno flessibili dal punto di vista adattativo e di quelle meno resistenti al caldo torrido, e probabilmente ad un aumento delle specie abituate a climi caldi con probabile invasione di specie “aliene” le quali potrebbero prendere il sopravvento sulle specie autoctone.
Conclusione
Le api svolgono un ruolo cruciale nell’impollinazione delle piante e nella produzione di cibo, garantendo la sopravvivenza di numerose specie vegetali. Tuttavia, il cambiamento climatico, l’uso di pesticidi e la perdita di habitat mettono a rischio la loro esistenza. È fondamentale proteggere questi insetti preziosi adottando pratiche sostenibili e sensibilizzando l’opinione pubblica sulla loro importanza.
L’apicoltura rappresenta un’attività essenziale per la salvaguardia delle api e la produzione di miele di qualità. Gli apicoltori, attraverso una gestione attenta dell’alveare e la cura delle api regine, contribuiscono a mantenere l’equilibrio dell’ecosistema. Comprendere la biologia e i cicli vitali delle api è cruciale per affrontare le sfide legate alle malattie e ai parassiti, garantendo così la loro sopravvivenza.
FAQs
1. Qual è l’importanza delle api per la biodiversità?
Le api, sia domestiche che selvatiche, sono cruciali per la biodiversità in quanto sono responsabili dell’impollinazione di circa il 70% di tutte le specie vegetali esistenti sul pianeta. Questo processo è essenziale per circa il 35% della produzione alimentare mondiale.
2. Qual è il ruolo dell’apicoltore nell’ambiente?
L’apicoltore ha un ruolo vitale nella protezione ambientale e nella conservazione della biodiversità, contribuendo significativamente al sostegno dell’agricoltura. Questa professione è essenziale per la sopravvivenza delle api, la produzione di miele di alta qualità e il mantenimento dell’equilibrio degli ecosistemi.
3. Perché la scomparsa delle api rappresenta un problema per gli esseri umani?
La scomparsa delle api rappresenta un serio problema per gli esseri umani poiché riduce la disponibilità di miele e polline, che sono prodotti da piante spesso considerate infestanti. La rimozione di queste risorse alimentari essenziali minaccia la sopravvivenza delle api e di altri impollinatori, mettendo a rischio specie a rischio di estinzione.
4. Come possono gli esseri umani contribuire alla salvaguardia delle api?
Gli esseri umani possono contribuire alla protezione delle api acquistando frutta e verdura biologica, evitando così di sostenere l’agricoltura industriale che fa uso di chimici sintetici e pesticidi dannosi per il suolo e gli insetti impollinatori. Optare per prodotti locali e di stagione è un ulteriore passo per assicurare che le api abbiano accesso a fonti adeguate di polline e nettare.